domenica 15 luglio 2007

My Work - Chapter One

Gli pareva fosse ieri. Invece erano passati degli anni. Dieci, per l'esattezza.Una festa a casa di Raoul, per festeggiare il suo compleanno. Era stato invitato anche lui, sebbene fosse in quella classe, in quella scuola, da poco tempo. In realtà era nuovo proprio in città: si era trasferito con sua madre e sua sorella, a seguito delle seconde nozze della prima, direttamente dall'Inghilterra a Napoli. Anzi, alla provincia di Napoli. Un cambiamento totale, e traumatizzante. Chi non ha mai vissuto a Napoli fa fatica ad abituarsi alle persone, alle strade, alla vita in questa città. E puoi amarla od odiarla a prima vista, e desiderare restare o scappare. Mark la aveva odiata, e forse non solo per le caratteristiche peculiari della città. Essa era la città del suo patrigno, un uomo che non voleva prendesse il posto di suo padre... e che però l'aveva preso.Erano arrivati all'inizio dell'estate, perchè sua madre credeva che, prima di iniziare la scuola, avrebbero dovuto ambientarsi e imparare la lingua. Insegnante di Italiano e caldo erano state la sua unica compagnia durante i mesi estivi, a parte la sorella, e il divertimento era limitato alle gite della domenica a Sorrento e la costiera.Non che il paesaggio fosse brutto, altrochè... ma si era sentito molto solo, in quei mesi. Tanto da attendere con ansia l'inizio della scuola, seppure con un po' di timore: come sarebbero stati i suoi compagni di classe? Lo avrebbero accettato? Oh, sperava tanto di avere degli amici!Il primo giorno di scuola si sentiva come un pesce fuor d'acqua: non solo il suo italiano non era ancora fluente, ma si accorse ben presto che il Napoletano era una lingua a sè, che i ragazzini parlavano frammezzandolo con la lingua standard... sarebbe mai riuscito a farsi capire? Lui che all'italiano mischiava ancora l'inglese, soprattutto quando si trovava in difficoltà? E meno male che lo avevano iscritto al Liceo Europeo...Trovò a fatica la sua classe e si sedè in un banco solo soletto. Gli altri ragazzi avevano già fatto un anno di scuola insieme e lo guardavano con curiosità, senza però avvicinarsi. Per fortuna entrò la prof e iniziò a fare l'appello. A sentire il suo nome e cognome, Mark aveva risposto con un "Here", suscitando l'ilarità di tutta la classe, e venendo subito bollato come il milord inglese. Se solo quei ragazzi avessero saputo l'importanza dei Lords!I giorni successivi erano andati molto meglio, aveva fatto amicizia un po' con tutti, soprattutto aveva legato con un certo Roberto, che lui aveva subito trasformato in Rob, Robbie.Ed era con lui che, quella sera, era andato alla festa di Raoul, un altro ragazzo della classe. C'erano proprio tutti gli amici di scuola, incluse le 2 gemelle Vania e Rosy, quest'ultima da mesi nei pensieri di Rob. E poi c'era lei. Aveva sentito qualcosa muoverglisi nelle viscere quando, una mattina, mentre era con Rob prima dell'inizio delle lezioni, gli si era avvicinata Mary.
"Ah, e così tu saresti il tipo inglese! Robbie mi ha parlato molto di te. Nice to meet you".
Gli aveva porto la mano e lui l'aveva stretta senza proferire parola. Rob aveva subito fatto le presentazioni: "Mark, lei è mia cugina Mary. Inizia la scuola con un po' di ritardo perchè ha avuto la rosolia."
"Meglio ora che quando sarò incinta! E cmq l'ha presa mio fratello Niky, che ci potevo fare? Me la sono beccata pure io, ma non è stato così terribile!"
Nessuna risposta uscì dalla bocca di Mark.
Mary sembrava interdetta: "Rob, ma capisce? Avevi detto che parlava italiano... forse non ha capito cos'è la rosolia..."
"Mary ma sì che ha capito, vero Mark?"
Mark si riprese: "What? ah sì sì"
Ma era troppo tardi: Mary si era già allontanata ridendo con una delle due gemelle. E non si poteva dire che Mark fosse molto fiero di sè: fare la figura dell'idiota al primo incontro! Rob travisò la sua espressione di rammarico con una indispettita, e gli disse: " oh, non ci far caso, Mary è fatta così. Scommetto che conoscendola ti sarà simpatica"
Simpatica? Mark si era appena preso una cotta in piena regola. Per mesi non aveva fatto altro che guardarla da lontano, sentendosi le ossa di burro quando lei, sentendo il peso del suo sguardo, si girava per guardarlo a sua volta, e per sorridergli. Si salutavano da lontano tutti i giorni, e si scambiavano le parole necessarie a svolgere correttamente la giornata scolastica: mi presti la penna, hai fatto i compiti, mi fai copiare l'inglese etc. ma appena suonava la campanella, Raoul partiva all'attacco. Era cotto di Mary almeno quanto lui, Mark lo sapeva. Tutti lo sapevano, tranne la diretta interessata. O forse faceva solo finta di non capire le vere intenzioni di quello che lei definiva: "il mio compagno di classe preferito".
Per questo quella sera, a casa di Raoul, alla festa di Raoul, Mark non si aspettava assolutamente niente di più di quattro chiacchiere con gli amici, e un po' di quegli strani balli di gruppo che loro definivano "latinoamericani". Pensò anche che, grazie a Rob e a quelle pazze delle gemelle, il suo italiano era notevolmente migliorato, se non per l'accento british che ancora conservava, e quindi avrebbe potuto fare nuove conoscenze, quando si fosse scocciato dei balli. Il che ebbe luogo molto presto, e Mark si ritrovò seduto da solo su una seggiola a lato del tavolo del buffet, a guardare i suoi compagni e tutti gli altri che facevano gli stessi movimenti strani a ritmo di musica.
E poi accadde. La musica si trasformò in una nenia dolce, il che stava a significare l'inizio dei tanto amati e temuti balli lenti, che erano il modo per stare attaccati alla persona che ti piaceva.
Iniziò a guardarsi intorno con sguardo divertito: lui non aveva il problema di scegliere, perchè la ragazza che avrebbe voluto invitare, sempre se ne avesse mai avuto il coraggio, sarebbe stata invitata dal padrone di casa.
Sulle facce di chi ancora non ballava c'era un misto di imbarazzo, aspettativa e disgusto: i ragazzi a cercare la faccia tosta di invitare, le ragazze a sperare di ballare con i loro amori segreti, e l'invidia distorceva i musi di chi sapeva che non avrebbe partecipato a quello strusciarsi.
Non la vide arrivare, preso com'era da quello spettacolo. Sentì solo la voce di lei pronunciare il suo nome, e la sua mano che cercava la propria per poi tirarlo a sè.
Gli bastò alzarsi per trovarsi avvinghiato a lei in mezzo a tutte le altre coppie danzanti. Si sentiva il fuoco dentro e prego Dio (God, in realtà), di non fargli avere un'erezione. Dio lo esaudì, ma per evitare del tutto il rischio, iniziò a parlare. La prima conversazione che stesse intavolando con lei, e nel momento meno opportuno!
" Credevo stessi ballando con Raoul"
"Raoul è impegnato in cucina con i preparativi per la torta insieme alla madre"
Silenzio.
"so... well... Non credevo volessi ballare con me... Insomma, a scuola non ci parliamo quasi!"
" Dio Mark, quanto sei spoetizzante!"
" Spo... what?"
Sorriso accondiscendente. "significa che rovini l'atmosfera romantica, da poesia, appunto"
Abbassò lo sguardo imbarazzato.
"oh... Sorry"
Sentiva il suo sguardo entrargli dentro, e non capiva niente di quello che succedeva intorno a loro due. Iniziò a non distinguere più niente, tutto diventò uno scuro sfondo blu.
Fu lei a parlare di nuovo:
" Ma lo sai, ora che ci penso, questa è la prima volta che ti sento dire più di tre parole di fila... " si fece maliziosa " allora ce l'hai la lingua, e la sai far funzionare!"
Sorrise. Lui, non lei, che sembrava improvvisamente tesa più di lui. "sai usarla anche per altro?"
Fu un attimo: il bacio arrivò, l'erezione anche. Non fece in tempo ad accorgersi di niente, che la musica finì, e lei scappò sorridendo verso la porta da cui avanzavano delle piccole fiammelle ondeggianti. Erano sedici. Mark le contò per riprendere il fiato e il controllo di sè.
E il "tanti auguri a te" lo prese come un augurio personale. Perchè a casa di Raoul, alla festa di Raoul, Mary aveva scelto lui...

Il bip del cellulare, che lo avvisava della batteria scarica, lo distolse dal pensiero di quei giorni felici per riportarlo alla realtà del presente.
si sentì un altro bip disperato. Tolse il telefono dal taschino e lo spense. Non voleva che quei bip, presagio di morte, influenzassero in alcun modo il bip regolare delle macchine che la monitoravano giorno e notte.
Guardò ancora una volta il viso che aveva tanto amato, ringraziando Dio che non lo potesse vedere, perchè si vergognava terribilmente del suo comportamento, e non avrebbe mai avuto il coraggio di sostenere il suo sguardo.
Era scappato da quella città, dalla sua famiglia, da lei. Ma scappare non era servito a niente.
Una lacrima gli scese giù per il viso e si infilò lentamente nel collo della camicia.
L'ultima volta che si erano visti, durante una delle sue visite in Italia, dopo aver fatto l'amore, lei gli aveva detto che lo avrebbe seguito, e lo aveva pregato di portarla con sè. Si era chiuso a riccio alla sola idea, e aveva rifiutato a priori di discutere della cosa, anzi, senza guardarla nemmeno, si era rivestito dandole le spalle, e le aveva detto che non sarebbe tornato più a Napoli. Lei non si era nemmeno mossa dal letto, girata verso la finestra, dal lato opposto rispetto a quello da cui lui stava per uscire. Si era girato e le aveva detto ciao, lei non aveva risposto, ma l'aveva sentita piangere quando aveva chiuso la porta dietro di sè.
Erano passati 3 mesi... e lui ora era lì, accanto a lei, già da un giorno intero. Si chiedeva se, stando lì a fissarla per ore, avrebbe fatto sentire a Mary, nonostante il coma, che lui era tornato. E che voleva restare per sempre.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ogni promessa è un debito.. e quindi eccomi qui! ah però, direi...l'inizio non è niente male. Certo bisogna sempre migliorare un po', ma siamo qui per quello, no??? Alla prossima puntata.. anzi, al prosssimo capitolo!!!

Anonimo ha detto...

Maggie che dirti, se questa è la genesi del tuo romanzo immagino il resto come qualcosa di meraviglioso :) Non la solita storia strappa lacrime, ma qualcosa che nasce solo da chi prova una grande passione e di chi è capace di far sognare altre persone scrivendo :) Continua così :)

 
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